venerdì 4 marzo 2011

Testamento biologico…

A proposito del cosiddetto testamento biologico, riporto alcune considerazioni a suo tempo stimolate dal "caso" Englaro

Ho cominciato ad occuparmi del "caso" Englaro solo qualche giorno prima della sua conclusione, e avrei evitato volentieri di farlo.
Ciò non per indifferenza, ma per il rispetto che ho (e quando non ce l'ho, che mi sforzo di avere) nei confronti di TUTTE le decisioni che le persone possono assumere, nella loro libertà di scegliere, indipendentemente dal fatto che io o qualcun altro possa considerare tali scelte giuste o sbagliate.
Purtroppo, da una tragedia familiare e personale, si è originato una sorta di terremoto politico, istituzionale, culturale e quant'altro... ed ora che l'impatto mediatico di questo dramma ha portato la sua onda lunga fin dentro il Parlamento, la questione è diventata politica e destinata a toccarmi personalmente.

Vedo che molti di coloro che intervengono nel dibattito portano, a suffragio delle proprie tesi, articoli, considerazioni e scritti di altri.
Io sono arrivato ad alcune conclusioni soprattutto partendo da tre ordini di riflessioni del tutto personali.

LA PRIMA: Ho sempre mal digerito questa particolarità, tutta italiana, di essere impantanati in un sistema dove si prevede che le leggi disciplinino ogni atto, ogni iniziativa, qualunque cosa accada o possa accadere nella società: una costante (e frustrante) rincorsa (sempre tardiva) di una realtà che si modifica molto più velocemente di quanto poi lo Stato genericamente inteso non tenti di raccogliere, elencare, consolidare...
E questo impulso perverso a rinchiudere tutta la realtà esistente all'interno di un quadro normativo, anziché essere limitato da un'analisi serena dell'assurdità a cui ci porta, negli anni si è ingigantito, sino ad abituarci a considerare come normale e auspicabile che la legge si occupi di questioni etiche, morali, personali... Raggiungiamo così le vette dell'assurdo quando si considera che qualunque comportamento sembra acquisire una patente di legittimità etica, apparendo giusto, sano, normale, per il solo fatto di essere previsto e regolato da una legge. Con buona pace dei sostenitori della laicità dello stato, inventata per rivendicare l'autonomia del potere politico rispetto al potere religioso!. Tale laicità avrebbe dovuto garantire un approccio caratterizzato da una superiore e imparziale indifferenza nei confronti delle diverse morali (etiche o religiose) cui aderiscono i singoli cittadini; invece oggi si tende a non aver più uno Stato laico, ma una religione dello Stato. Rientra così dalla finestra quello che era uscito dalla porta e, invece che ad una casta sacerdotale, affidiamo al Parlamento la capacità di produrre il bene assoluto di legiferare su ciò che è giusto e sbagliato.

LA SECONDA: La casta dei medici, tra quelle dei vari "esperti patentati" cui la società affida gli aspetti più rilevanti del vivere, tende (a volte persino la buona fede) a mantenere in esclusiva il proprio potere sulla salute delle persone, e anche in questa situazione si trova ad ottenere una delega per intervenire in campi che non sono certo di sua esclusiva pertinenza.
Le scoperte di una scienza cui (a parole) si riconosce continuamente la parzialità tipica di un processo in divenire, vengono imposte nei fatti come indiscutibili certezze. I suoi rappresentanti hanno assunto un potere assoluto nella definizione di ciò che è malattia e, soprattutto, di ciò che è cura (basta ricordare la guerra spietata fatta alle tecniche curative diverse da quelle che si sono sviluppate in Occidente negli ultimi 200 anni: agopuntura, omeopatia, e tutte le altre metodologie per millenni poste in essere, anche oggi in tutto il mondo, dalle più diverse culture).
A causa della mia disabilità ho purtroppo acquisito una certa dimestichezza con certi ambienti e sono pronto a scommettere che molti altri nutrono, come me, un sano scetticismo nei confronti di alcune posizioni, che spesso nulla hanno da invidiare a quelle degli integralisti di tutte le fedi.

LA TERZA: Da sempre ho ritenuto del tutto ideologica la dichiarazione dell'articolo uno della Costituzione in merito alla "Repubblica fondata sul lavoro": lavoro di chi, considerato che due terzi della popolazione (e non da oggi) vengono mantenuti dall'unico terzo che produce? L'ho sempre considerata come una formulazione discriminatoria nella quale mi piacerebbe veder sostituita la parola "lavoro" con "libertà" o "ricerca della felicità".
E tra queste libertà, naturalmente, c'è anche quella di decidere come spendere la propria vita, e ciascuno, del resto, lo fa a modo proprio, fino a quando non si scontra con la "legge" (e spesso lo fa anche malgrado la legge).
Mi piacerebbe molto vedere scaldarsi i cuori, così come per la libertà di morte, anche per tutte le altre libertà che vengono continuamente negate, ma tant'è: come branchi di pesci o greggi di pecore tutti corriamo di qua o di là, a seconda di come qualcuno agita bandiere o proclama parole d'ordine...

Concludo dicendo che sul cosiddetto testamento biologico, non sono né favorevole né contrario alle varie tesi: le rispetto come espressioni di sentimenti e riflessioni che ciascuno ha la libertà e il dovere di fare per se stesso. Sono invece completamente contrario al fatto che o l'una, o l'altra, o una terza, vadano a costituire il quadro di riferimento all'interno del quale DOVRÀ poi esprimersi una mia qualunque scelta, che sarà scelta preventiva e in qualche modo forzata dal bisogno di evitare quelle altrui.
Non vorrei che un tema del genere venisse affidato alla legge: il senso della vita, della sofferenza, il senso della morte non possono essere ridotti ai vari protocolli, alle varie tecniche, alle varie verità scientifiche e ai compromessi fra i partiti: verranno medicalizzate scelte che derivano da un sentire posto su piani completamente diversi.
In più, sono da sempre abituato a veder cambiare le cose, dentro di me: i gusti, le opinioni, i punti di vista... a seconda della situazione, di come le avevo immaginate, di come le vivevo, di come si modificava il mio modo di sentirle... e mi angoscia l'idea delle scelte preventive, irrevocabili, totalizzanti che chiamano coerenza la chiusura mentale al cambiamento...

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