Sebbene ormai "datato" ed in parte superato dall'evoluzione dei tempi, propongo un documento che illustra alcune differenze tra volontariato e Terzo Settore e descrive cosa effettivamente si intenda per volontariato, in un dibattito che è ancora in corso…
Intervento effettuato al convegno: "Volontariato, identità da riscoprire", Torino, 26 novembre 2005.
Voglia di un po' di chiarezza
Una premessa
Il fermento che in questi giorni agita il mondo del Terzo Settore e quello del Volontariato indica che molti nodi stanno venendo al pettine.
È per questo che non possiamo esimerci dal tentare di dire la nostra, con molta semplicità, senza nessuna presunzione, ma con la determinazione e la forza che derivano dalla libertà posseduta in forza del fatto che quello che facciamo possiamo smetterlo quando vogliamo, a parte i conti con la nostra coscienza.
Non abbiamo nulla da insegnare, ma nemmeno nulla da perdere: carriera, consenso, potere politico non fanno parte del nostro mondo, storicamente nato e cresciuto come movimento diffuso nella società civile e da essa stessa sostenuto, spesso, anche in termini finanziari, indipendentemente dal sostegno pubblico che si è andato affermando in questi ultimi anni.
Vogliamo però guadagnare qualcosa in chiarezza e provare a far sentire la nostra voce e non quella degli esperti, dei professionisti del Volontariato, degli studiosi o dei funzionari pubblici, né quella delle grandi organizzazioni operanti a livello nazionale, ormai consolidate, conosciute, riconosciute e integrate nel sistema pubblico di assistenza socio sanitaria (con tutto ciò che questo può significare in termini di inevitabili amicizie/apparentamenti/collegamenti a livello partitico...).
Le nostre opinioni derivano dalla quotidiana esperienza sul campo di persone che hanno troppe poche energie e troppe cose da fare per occuparsi di qualcosa di diverso dalla fatica (e dalla gioia) di rendere efficienti, vive e vitali le proprie associazioni, i propri gruppi, dopo che molti hanno passato la giornata nelle professioni nelle quali sono impiegati ed avere assolto, magari in fretta, i propri impegni familiari .
È da trent'anni che si discute del problema di chi possa rappresentare il Volontariato, quello piccolo, diffuso, parrocchiale, di quartiere, di paese. I molti encomiabili tentativi di studiare e proporre forme di collegamento tra queste numerosissime e diversificate realtà non sono riusciti nell'intento se non in forme parziali e comunque inefficaci a far uscire dalla "invisibilità" la gran parte del volontariato italiano.
Questo vuoto di rappresentanza, nel tempo, è stato colmato dal grandi organizzazioni che, malgrado le buone intenzioni, non potevano che conoscere se stesse e partire dalla propria esperienza e dai propri bisogni per rivendicare adeguati interventi normativi o di sostegno, lasciando sostanzialmente senza voce tutto quel "volontariato invisibile" che costituisce la vera culla della cultura della solidarietà nel Paese.
Siamo convinti che la rappresentanza del Volontariato possa essere rivendicata soltanto da quei coordinamenti di associazioni o da quelle associazioni che si riconoscono integralmente, senza se e senza ma, nei primi tre articoli della legge 266. a quanto gli contenuto sarebbe interessante aggiungere una qualche specificazione legata al "tempo", chi aiuta a stabilire il peso e l'attività volontaria ha all'interno del tempo complessivo di vita della persona.
La gran parte delle associazioni che hanno contribuito all'individuazione dei contenuti di questo documento possiedono le caratteristiche appena ricordate. Da ciò ricaviamo la convinzione di poter proporre le considerazioni seguenti, prendendo la parola in prima persona ed aggiungendo la nostra voce a quella di tutti coloro che conoscono, apprezzano, valorizzano, studiano, usano e discutono di volontariato, ma volontari non sono.
I Volontariati?
L'approvazione della legge-quadro sul volontariato ha significato una svolta, anche formale, nella consapevolezza dell'importanza che l'atteggiamento di solidarietà verso l'altro può avere nella fornitura di servizi alle persone. La capacità, che le pubbliche istituzioni hanno avuto di utilizzare il volontariato, ha favorito la nascita e la crescita di tutte quelle iniziative che sono oggi riconducibili al Terzo Settore. La modifica anche sostanziale delle modalità (e, conseguentemente, delle motivazioni) con cui nuove associazioni hanno iniziato a rendere servizi, ha richiesto l'approntamento di nuovi strumenti formali volti a regolamentare l'attività di onlus, cooperative sociali e associazionismo, imprese sociali e quant'altro... A causa del fatto che l'unica normativa vigente per regolare tutte queste diverse materie ed esperienze è rimasta per lunghi anni la sola legge 266, la definizione di "volontariato" ha subito interpretazioni particolarmente elastiche (e, riteniamo, sostanzialmente scorrette se rapportate alla lettera ed allo spirito della legge).
È così che molte esperienze, nate nel mondo e dal mondo del volontariato, hanno poi meglio strutturato i propri servizi andandoli a rendere per conto dell'ente pubblico, aumentando la qualità del servizio reso, la garanzia della sua continuità, una più adeguata professionalità nell'affrontare molte situazioni nelle quali l'intervento solo volontario sarebbe stato del tutto inadeguato.
Tutto questo ha contribuito, da una parte, a ridurre le attività di supplenza (spesso svolte dal volontariato "tradizionale") affidandole a onlus e cooperative sociali; dall'altra, è cresciuta ad un livello professionale la modalità di resa dei servizi. Dobbiamo ringraziare anche questi processi se, negli ultimi trent'anni, sono stati fatti enormi passi avanti nel migliorare i servizi resi a livello sanitario e socio-assistenziale, nella costruzione del welfare moderno.
Un'ulteriore effetto di questo processo ha visto l'affermarsi e il consolidarsi di una nuova ed importante area di business nel tessuto economico del Paese, il cosiddetto Terzo Settore.
La necessità di fare chiarezza
Riteniamo sia giunto il momento di distinguere, culturalmente e normativamente, il volontariato da tutte quelle iniziative che sono riconducibili al Terzo Settore. Questo non per dividere un mondo nato da una cultura comune, che opera spesso sullo stesso terreno e che ha in comune l'intervento nelle parti sofferenti del corpo sociale, ma per distinguere esperienze che sono così diverse che non ha più senso continuare a volerle tenere insieme (e a confonderle). Operazione oggi del tutto inutile visto che quanto è venuto emergendo dal corpo del volontariato ha ormai acquistato il pieno diritto di interloquire, appunto, come Terzo Settore nel quadro economico che articola la realtà del nostro Paese.
Non è una questione di contrapposizione, ovviamente, perché molte possono essere battaglie comuni, ma sentiamo il bisogno di sottolineare una essenza diversa, originale, della quale siamo forse un po'gelosi, oltre che orgogliosi.
I tempi sono talmente difficili che un intervento come questo può apparire gratuito, fuorviante, ostinatamente puntiglioso. Dalla nostra esperienza quotidiana di volontariato "invisibile", con le 1000 difficoltà che incontriamo nel normale sopravvivere, stiamo ricavando, invece, la convinzione che proprio la confusione sul significato del termine volontariato sia lesiva dei valori più profondi e della capacità di sviluppo della cultura della solidarietà nel tessuto sociale. Attribuire valore e regolamentare soprattutto l'aspetto economico rischia di produrre un imbarbarimento della valenza culturale e sociale dell'azione svolta dal volontariato, come intuita e riconosciuta dai primi articoli della legge in vigore.
Il valore del tipo di intervento sopra accennato non è "economico", perché non può essere comprato né venduto: la solidarietà, il sentirsi fratelli, l'amore non hanno nulla a che vedere con l'economia.
Il riconoscimento del valore sociale e "profetico" del volontariato, sancito dalla legge 266, impone delle distinzioni che intendiamo rammentare e sottolineare per amore di chiarezza e verità e non perché motivati dal desiderio di vantare il diritto di esclusiva sulle risorse disponibili.
Il volontariato puro e invisibile che desideriamo distinguere (per poterne meglio valorizzare le qualità e le possibilità e per evidenziarne i reali bisogni) e che è costituito da innumerevoli organizzazioni prive di rappresentanza (perché povere di coordinamento e delle energie che questo richiede) è formato da centinaia di migliaia di persone. E sono decine di migliaia ogni anno i cittadini che partecipano ai corsi di formazione e alle esperienze offerte da queste associazioni...
Non fa notizia, non organizza fantasmagoriche raccolte di fondi, non riesce ad accedere alle grandi reti televisive nazionali, non conosce persone influenti capaci di aiutarlo, o sponsor famosi che ne sappiano testimoniare l'esistenza prima ancora che l'affidabilità... però nutre quella gratuita solidarietà diffusa che non ha potere di incidere sulle scelte dei Grandi del mondo, ma che opera nel qui e ora della quotidianità, nella praticità delle vite normali (senza bisogno di chiedere autorizzazioni, leggi, delibere), perché costituisce il tessuto connettivo di fondo del vivere umano.
- È questo il lievito che fermenta nel corpo sociale, che costruisce cultura nuova, alternativa rispetto ai modelli dell'apparenza e dell'edonismo, che sa dire di no alla graduale mercificazione di molti, troppi aspetti della vita, e che sa proporre senza chiacchiere un'azione gratuita, senz'altra remunerazione che il piacere di averla compiuta.
- È questa la novità, sempre attuale, la sensibilità, l'intuizione che dà vita a un mondo dove la solidarietà diventa personale atteggiamento di pace, una mansuetudine, una tenerezza nei confronti della vita e delle persone che viene molto prima degli slogan e delle bandiere.
- É questa funzione insostituibile del volontariato che deve essere promossa, sostenuta, valorizzata in forza della legge 266, dopo avere operato le opportune distinzioni.
Soprattutto nei confronti dei giovani, è importante sottolineare come l'attività volontaria sia davvero una scelta contro corrente, rivolta alla sostanza della quotidianità, libera dai lacci delle mode, delle ideologie, dei partiti; una scelta che dice no, finalmente, alla mercificazione, all'interesse, al "dare per avere". È una scelta che fa sentire del tutto affrancati da quello che, oggi, sembra essere l'unico e determinante motore dell'esistenza: il proprio personale interesse.
In un mondo che vive di corsa, è il tempo ciò di cui le persone hanno più bisogno: il tempo dell'ascolto, il tempo dell'attenzione, il tempo che non ha fretta di passare alla "pratica" successiva. È questo il dono più importante che fa il volontario: il tempo, irripetibile tempo della propria vita , offerta all'altro in totale gratuità, senza aspettarsi nulla in cambio.
Anche il volontario, naturalmente, "guadagna" qualcosa, ma non è nulla che possa essere pagato, comprato, venduto: il piacere dell'agire gratis, senz'altro fine personale che quello di aumentare la propria esperienza, la propria conoscenza del mondo, degli altri, della vita, la propria capacità di amare.
Sebbene l'atteggiamento solidale possa essere fondamento comune dell'azione di chi è, bene o male, stipendiato e di chi è volontario, la discriminante di fondo è che il primo non può scegliere liberamente come il secondo, perché la sua esistenza è inevitabilmente condizionata dal supporto economico che ne ricava. La crescita personale è cosa ben diversa dalla crescita, seppur minima, del proprio reddito.
Sono inoltre sempre più evidenti le differenze fra il tipo di impegno e di organizzazione necessario a quelle esperienze di solidarietà descritte all'art. 2 della legge 266 e quello delle realtà che hanno fondato e si riconoscono nel mondo del no profit: sono diverse le modalità di organizzazione, sono diversi i servizi che vengono resi, sono diverse le motivazioni delle persone, sono diversi gli interessi e le dimensioni economiche in gioco.
Molte componenti del Terzo Settore hanno bisogno di essere aiutate, supportate, riconosciute e, soprattutto, valorizzate. Gli impegni che assumono, i servizi che rendono, le modalità con le quali operano, la tipologia dei destinatari della loro azione: tutto ciò richiede motivazioni e capacità di relazione che dànno luogo ad una professionalità altamente specializzata, che rischia di essere sottovalutata se chiamata "volontariato".
La gran parte degli operatori del Terzo Settore sono persone mal pagate, che svolgono mansioni molto delicate e che dovrebbero essere remunerate in proporzione al tipo di qualità del servizio reso e non con "rimborsi", parcelle o stipendi che a volte nascondono situazioni moralmente censurabili sulle quali non è questo il momento di soffermarsi.
Il volontariato spicciolo, sparso sul territorio, fatto da associazioni che a volte agiscono solo a livello di quartiere, ha necessità diverse, ridotte, molto ridotte rispetto a quelle di organizzazioni che dispongono di personale stipendiato, alcune delle quali agiscono come delle vere e proprie holding dell'assistenza.
Non occorrono analisi specialistiche per vedere la grande differenza esistente tra i diversi tipi di esperienza: basta osservare i bilanci e, in particolare, le spese di gestione e di mantenimento della struttura.
Un abbozzo di proposta.
I Centri Servizi devono aumentare la loro azione volta alla promozione e al sostegno del volontariato e debbono disporre di risorse adeguate ai bisogni.
È però importante il sostegno diretto alle attività, garantendo la sopravvivenza delle associazioni con interventi di supporto alla gestione ordinaria, oltre a quelli offerti in servizi. Solo un gruppo che non si trova costretto a chiudere per mancanza di risorse ha bisogno di formazione, pubblicità, strumenti da "segreteria".
La promozione e la valorizzazione del volontariato sono compiti ambiziosi per i quali non si lavorerà mai abbastanza, e c'è senz'altro bisogno di mezzi sufficienti, anche se bisogna riconoscere che questo volontariato senza voce, per sopravvivere e crescere, ha bisogno delle "briciole", rispetto ai progetti di centinaia di migliaia di euro con i quali vengono finanziate e sostenute, da enti e istituzioni, molte holding dell'assistenza, le imprese no profit e quant'altri sono stati attirati dalle risorse disponibili, dalla possibilità di ottenere consenso e aumentare la propria capacità di pressione politica.
Siamo disponibili a pensare ad una diversa distribuzione delle risorse, che lasci al volontariato quel "poco" che gli è necessario, ma lo eroghi soltanto a chi rientra nei rigidi parametri stabiliti dalla legge 266, senza apparentamenti, mescolanze, confusioni, piccole e grandi bugie. Il resto sia pure destinato ad altri fini. Eviteremo così gli "assalti alla diligenza" e, soprattutto, ci sarà modo di selezionare ciò che è realmente volontariato e ciò che non lo è, se non ci sono soldi o potere a motivare certe confusioni.
Deve essere infatti reso possibile l’accesso alle risorse evitando al volontariato invisibile tutte quelle incombenze burocratiche giustamente idonee a garantire la rendicontazione di cifre importanti, ma del tutto incomprensibili se rapportate alle normali esigenze dei gruppi di volontariato, che già fanno fatica a rendere il loro servizio e non dispongono di certo di personale disponibile, per interminabili ore, a seguire la burocrazia connessa all'approvazione dei progetti.
Non ci importa la riduzione di risorse, siamo infatti, da sempre, abituati a vivere senza aiuti istituzionali, ma ci importa la chiarezza, la trasparenza, la necessaria distinzione tra quello che è originato da una sensibilità sociale diffusa (e da diffondere) e le nuove aree di business nel mondo dei servizi alla persona.
Per quanto riguarda le modifiche da apportare alla legge 266, suggeriamo si tenga conto dei punti seguenti:
1. si definiscano con assoluta chiarezza e trasparenza i diversi soggetti del cosiddetto terzo settore: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, di protezione civile, cooperazione, perché le confusioni sono troppo frequenti per essere occasionali e accidentali
2. si dichiari l’incompatibilità della doppia appartenenza (ad es. volontariato e promozione sociale)
3. si dichiari che i centri di servizio non rappresentano le organizzazioni di volontariato e pertanto non hanno alcun diritto di farsi loro portavoce, come sta avvenendo in modo arbitrario in quest'ultimo periodo
4. si preveda tra i contributi erogabili la parziale copertura (50%) delle spese di gestione e funzionamento
5. si dichiari l’assoluta incompatibilità tra volontariato e pagamenti e retribuzioni di qualsiasi genere, compreso il permesso dal lavoro retribuito. Il volontariato o è gratuito o è altra cosa!
Se, quanto tentato di esprimere sinora può essere condiviso, allora non resta che "uscire dall'ombra", incontrarsi, parlarsi e giungere insieme alla definizione di una vera, completa e articolata proposta e del percorso più idoneo a sostenerla.....
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